“Le donne e la resilienza”: Chiara Scardicchio, autrice di Bari, ha presentato a Foggia “Madri” e “La ferita che cura”

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“Le donne e la resilienza” è il tema del convegno che si è svolto ieri all’ “Officina del Gioco” dell’ “Assori onlus” di Foggia (Associazione per la promozione socio-culturale sportivo dilettantistica e la riabilitazione dell’handicappato). Nel corso dell’incontro sono stati presentati due libri: “Madri” e “La ferita che cura”  di Chiara Scardicchio, nata a Bari, è docente e ricercatrice in “Pedagogia Sperimentale” presso l’Università degli Studi di Foggia, nonché mamma di Serena, affetta da autismo. Oltre all’autrice, sono intervenute Maria Grazia Napolitano, femminista e creatrice del gruppo “Le amiche di Celeste (Crostarosa)” (info: http://www.mariagrazianapolitano.com/chi-sono/) e Pia Colabella, direttrice dell’Assori.

Chiara Scardicchio, capelli corti e sguardo dolcissimo che trasmette serenità e forza, dal 1997 si occupa di ricerca e didattica con approccio sistemico nei contesti della formazione, dell’educazione e della cura, coniugando scienze della complessità e resilienza, epistemologia ed estetica. Nel marzo 2014 ha ricevuto il Premio Italiano di Pedagogia (istituito dalla Società Italiana di Pedagogia) per il volume “Il sapere claudicante. Appunti per un’estetica della ricerca e della formazione” (Bruno Mondadori, 2012). Dal 2016 è Ricercatrice Associata al CNR-Roma. Nel gennaio 2015, insieme con le edizioni Lameridiana, ha fondato la prima Hope School italiana. È autrice di pubblicazioni internazionali e nazionali: saggi, articoli scientifici e monografie inerenti le connessioni.

I due testi, in formato tascabile, sono due piccoli gioielli. Semplici ma profondi. Di facile lettura ma da “digerire” un po’ per volta perché ogni parola pesa come un macigno e lascia il segno.

  • “Madri: voglio vederti danzare”:

“Madri” è il racconto intenso e folgorante di una relazione speciale tra una madre e sua figlia autistica. Un viaggio di andata e ritorno nell’“altro mondo”. “Alcune madri sono, a mio avviso, madri da studiare: per le loro incredibili capacità di resurrezione. Perché a risorgere, mentre ancora si vive e quando, seppur ancora in vita, si è già morti, si impara – spiega l’autrice. – E si impara per contagio. Madri addolorate il cui dolore è stata la penultima parola: e che dunque si sono rialzate, trasfigurando il lutto in celebrazione e quella morte in apprendimento. Madri risorte, non nonostante il dolore ma proprio grazie ad esso. Perché prima di incontrarlo erano fragili come tante altre, col cuore che si sfalda come i biscotti al mattino nel latte. Madri che la disgrazia ha reso piene di grazia”.

“A vederlo questo minuscolo libro sembra cosa da niente – ha detto Maria Grazia Napolitano -, pare Davide contro Golia, perché pretende nella sua piccolezza di abbattere un gigante come il mito della Mater Dolorosa in cui è trasfigurata la potenza rivoluzionaria di Maria. L’autrice il toro lo prende per le corna fin da subito, parlando di sé. Del suo amore per la scrittura e del momento in cui ha scoperto la malattia di sua figlia”.

“Dopo 25 anni di scrittura antistaminica – scrive Chiara Scardicchio – il vento se l’è portata via. È arrivato, inaspettato, travolgente. E ha distrutto ogni cosa, lasciando solo macerie. Così grande e indicibile quella devastazione, che assomigliavo alla Madonna Addolorata. Nella nostra tradizione la sua immagine – vestita di nero, stravolta, in lacrime – è molto di più che icona soltanto: è mito e modalità di maternità”. Ma “esiste un’altra maternità”, aggiungerà subito dopo, “quella che ci consente di uscire dalla tentazione di essere mamme addolorate per principio, per statuto, per identità aprioristica”.

“È alle madri che Chiara Scardicchio si rivolge – ha sottolineato Maria Grazia Napolitano -, madri che prendono esistenza dalla gloria della Croce, della sofferenza senza fine e senza resurrezione”.

  • “La ferita che cura: dolore e sua possibile collaterale bellezza”:

“La ferita che cura: dolore e sua possibile collaterale bellezza” è un libricino di appena 90 pagine, ma in grado di stabilire sin da subito quel colloquio privato tra chi lo scrive e chi lo legge. Il dolore è un’esperienza che ci accomuna tutti quanti, con atteggiamenti spesso simili e a volte diversi. Ciò che varia, infatti, è l’approccio con cui ognuno di noi vi si accosta. L’autrice barese, impegnata da anni nei temi della formazione e dell’educazione, si pone in un dialogo appassionato con le voci più autorevoli della ricerca pedagogica, della psicologia analitica, dell’arte, della letteratura e della tradizione religiosa, chiedendosi se sia possibile ripensare il dolore come iniziazione a un più profondo respiro vitale.

“Si può – ha detto Pia Colabella –  concepire gioia con la materia prima del dolore? Io ho trasformato in domanda l’affermazione di Chiara che mi è venuta incontro in un mio momento di stasi, d’immobilità. Mi sentivo vuota, vuota di parole capaci di accarezzare l’anima, di silenzi pieni di vita. Con Chiara posso affermare che “si può ricominciare”, si può imparare a parlare, ad ascoltare, a vedere, a sentire. Leggendo “La ferita che cura” si scorgono parole risorte, parole di speranza che conoscono il silenzio. Così Chiara è entrata nella mia esistenza dopo Simone Weil, Emily Dickinson e Etty Hillesum che ritornano a me dalla fucina letteraria della Merlettaia dove hanno forgiato il mio essere donna e docente in cammino verso un cambiamento necessario. Grazie a Chiara oggi sono qui a far risuonare la vita ancora una volta, rinnovandola con un’espansione inedita, l’acquisizione di una forma nuova di linguaggio con cui fare esperienza del mondo, per lasciare un’impronta nel mondo stesso, e posso dire con Chiara di essere “sbronza di sole dentro, dopo la pioggia che ci ha fatto morire”. Non possiamo cambiare alcune realtà (morte, malattia, tradimento, limite), ma possiamo cambiare il modo con cui le guardiamo e le raccontiamo. Così qui all’Assori potremo diventare una fucina inesauribile di resilienze a confronto”.

A conclusione del convegno, Costanzo Mastrangelo, presidente dell’Assori, ha donato all’autrice un quadro di Marco Mastrangelo, affetto dalla sindrome di down, dal titolo “Il cuore che solleva”. Inoltre è stato consegnato un riconoscimento ai coniugi Maria Grazia Napolitano e Riccardo Di Biase “per la condivisione ed il sostegno alla mission dell’Assori onlus”.

ufficio stampa
Francesca Lombardi

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